Storia del riso
Le origini del riso in Asia e la sua diffusione nel Mediterraneo e in Italia
Origine e Domesticazione
Il riso asiatico (Oryza sativa) è originario di una vasta regione che si estendeva dall’India orientale fino alla Cina meridionale nella quale, agli inizi dell’Olocene, crescevano i suoi progenitori selvatici. In quei territori, compresi nella fascia tropicale e sub-tropicale delle piogge monsoniche, il riso sviluppò una sorprendente variabilità che gli consentì di colonizzare i più diversi ecosistemi. Il riso selvatico è ancora oggi presente in molte aree della pianura del Gange in India, nelle regioni settentrionali di Burma, Thailandia e Vietnam e in quelle continentali e insulari dell’Asia sud-orientale.
Il processo di domesticazione ebbe luogo all’interno del centro di origine della pianta ad opera di comunità di proto-agricoltori i quali, dopo una prima fase di semplice raccolta dei semi, avviarono la coltivazione dei campi naturali di riso selvatico e, solo successivamente, cominciarono a seminarlo. La coltivazione del riso selvatico sfruttava la capacità delle giovani piante di resistere al trapianto da un campo all’altro. Questo carattere può essersi sviluppato precocemente solo nelle regioni dove, a seguito di forti alluvioni, i campi di riso selvatico venivano periodicamente inondati da masse d’acqua abbastanza veloci che erano in grado di strappare le giovani piante di riso dal loro ambiente originario, per depositarle più a valle, in campi melmosi, al defluire delle acque. L’osservazione di questo fenomeno può aver stimolato alcuni gruppi di proto-agricoltori a sfruttarlo a proprio beneficio per ottenere campi di riso selvatico in aree più accessibili o in terreni più vicini ai villaggi. Questo evento potrebbe essersi sviluppato indipendentemente e, forse, anche contemporaneamente in più luoghi della stessa regione, per soddisfare le necessità alimentari dei diversi gruppi umani. Le scelte operate dai primi agricoltori, che videro nel riso selvatico una possibile fonte alimentare, cambiarono il destino di molte popolazioni, favorendo la crescita sociale e culturale di quei gruppi che sul riso fondarono la loro economia.
Coltivazione e vie di diffusione
La geografia dell’origine e diffusione del riso ha trovato precise conferme cronologiche negli scavi archeologici condotti nei villaggi preistorici e protostorici di molte regioni dell’Asia. Nel corso degli ultimi anni, gli archeologi hanno dedicato particolare attenzione al recupero dei semi carbonizzati e alla ricerca d’impronte di vegetali nella ceramica, nei mattoni o negli strati compatti di argilla che formavano il pavimento delle abitazioni, nel tentativo di localizzare il possibile centro di domesticazione della pianta e le vie di diffusione della sua coltivazione. In alcuni casi, per individuare le tracce della presenza del riso nei depositi archeologici, sono stati esaminati campioni di terreno archeologico o di cenere dei focolari alla ricerca di piccolissime particelle di silice praticamente indistruttibili, dette fitoliti, che nella pianta di riso svolgono compiti di particolare importanza. Lo studio dei reperti vegetali, semi, impronte e fitoliti, ha permesso di accertare se i reperti rinvenuti erano di riso selvatico o di riso domestico e, in alcuni casi, è stato anche possibile stabilire a quale delle tre sottospecie essi appartenevano.
È stato così possibile stabilire che già 15.000 anni fa il riso selvatico costituiva una importante fonte di cibo per le popolazioni preistoriche di alcune regioni della Thailandia, del Vietnam, della Corea,
della Cina e di alcune isole del sud-est asiatico. Sappiamo inoltre che i più antichi resti di riso coltivato sono stati trovati nella Cina orientale e nell’India nord-orientale e risalgono a oltre 7.000 anni fa. Le prime testimonianze della coltivazione del riso in campi non sommersi dalle acque, nè irrigati, ma la cui umidità dipendeva solo dalle piogge, sono state trovate nella Cina settentrionale e sono state datate a circa 5.000 anni fa. Dalla documentazione archeologica sappiamo inoltre che, tra il quarto e il terzo millennio a.C., la coltivazione del riso ebbe una rapida espansione verso le regioni sud-orientali dell’Asia continentale e verso ovest, attraverso l’India e il Pakistan, fino a raggiungere le alte valli del fiume Indo. La discesa lungo l’Indo, per raggiungere l’attuale regione del Baluchistan, avvenne circa mille anni più tardi e fu probabilmente questa l’ultima migrazione in ordine di tempo del riso verso occidente. Ci vorranno altri mille anni prima che il riso venga conosciuto nel mondo classico ed altri mille anni ancora per arrivare alla sua coltivazione nel Bacino del Mediterraneo, dove fu introdotto dagli Arabi.
La conoscenza e la coltivazione del riso nel Mediterraneo e in Italia
Il mondo classico mediterraneo conobbe il riso orientale solo dopo la conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno. Teofrasto, contemporaneo di Alessandro, fu il primo a descrivere il riso nel suo trattato sulla storia delle piante. Ne parlò come di un cereale che cresceva in acqua per lungo tempo e i cui semi erano particolarmente idonei ad essere bolliti per soddisfare le esigenze alimentari dei popoli dell’Asia. Ancora più dettagliata è la descrizione lasciataci da Aristobolo, compagno di Alessandro nelle spedizioni in Asia, secondo il quale il riso veniva coltivato in aiuole chiuse e ben irrigate; era un pianta alta quattro piedi, abbondante di spighe e ricca di semi. Secondo Aristobolo il riso si coltivava nella Battriana (Afghanistan) e nelle terre del basso corso del Tigri e dell’Eufrate dove, evidentemente, era arrivato prima del passaggio dell’esercito di Alessandro. Il riso, quindi, prima del quarto secolo avanti Cristo aveva già raggiunto il Vicino Oriente, ma non si era diffuso nelle regioni limitrofe.
Dalle descrizioni riportate nel Periplo del Mare Eritreo, un resoconto della geografia portuale databile al primo secolo d.C., sappiamo che il grano e il riso erano prodotti che venivano scambiati lungo le rotte del Golfo Persico e del Mar Rosso: provenivano dalle regioni dell’Ariacia (Afghanistan meridionale) e di Barigozzo (Barygaza, porto della costa occidentale dell’India) ed erano destinati agli empori della Penisola Araba.
La conoscenza del riso nel mondo romano non fu quella di un cereale adatto all’alimentazione umana ma piuttosto quella di un prodotto medicamentoso che, sotto forma di decotto, veniva prescritto dai medici ai pazienti più ricchi per curare le malattie del corpo, come ricordato da Orazio.
L’Egitto fu la prima tappa del percorso che portò il riso a diffondersi nel Mediterraneo. Si deve alla colonizzazione araba il trasferimento della coltivazione del riso dall’Egitto alla Spagna, probabilmente poco dopo il 1000 d.C. La conquista araba delle terre del Mediterraneo occidentale favorì la diffusione della coltivazione del riso sia per soddisfare le esigenze degli stessi arabi, sia perchè il riso cominciava ad entrare nelle abitudini alimentari dei popoli conquistati.
Il riso era conosciuto in Italia molto prima che ne iniziasse la coltivazione, perchè era considerato una spezia ed era venduto per scopi terapeutici. Qualche traccia della presenza del riso in Italia si trova già in documenti del 1390, però non è chiaro a chi si deve l’introduzione di questo cereale nella penisola. Nel 1468 fu inaugurata la prima risaia, mentre il primo documento che dimostra la coltivazione del riso in Italia risale al 1475 ed è una lettera di Galeazzo Maria Sforza, il quale prometteva di inviare dodici sacchi di riso al Duca di Ferrara. Con l’avvio della coltivazione in Lombardia il riso, da prodotto di uso esclusivo degli speziali, divenne un elemento dell’alimentazione dei Lombardi.
Dalla Lombardia la coltivazione del riso si estese con rapidità a tutte le zone paludose della Pianura Padana. A tale diffusione seguì però un aumento dei casi di malaria e furono molti i provvedimenti che cercarono di limitarne la coltivazione in prossimità degli abitati. Nonostante i divieti, la coltivazione del riso continuò ad espandersi perchè la sua resa e il conseguente guadagno, rispetto ai cereali tradizionali erano così alti da far prevalere il fattore economico sul rischio di malattie. Il riso ebbe dunque una immediata diffusione, malgrado i rischi che derivavano dalla sua coltivazione, i dazi e i divieti, e, probabilmente, il suo successo si deve anche alla crisi alimentare che si registrò in tutto il Mediterraneo occidentale nel XVI secolo. Le carestie si alternavano alla peste, i raccolti scarseggiavano e non era facile approvvigionarsi all’estero. In queste condizioni il riso fu visto come il cereale che poteva in qualche modo far fronte alle richieste di una popolazione sull’orlo della fame.
Dalla Pianura Padana la coltivazione del riso si diffuse anche in Emilia e in Toscana, dove però la penetrazione fu più lenta a causa della minore disponibilità di acqua da destinare al nuovo cereale. Alla fine del XVII secolo il riso si coltivava ormai largamente nella pianura del Po, in Toscana ed in qualche area della Calabria e della Sicilia. Nel 1700 le risaie del territorio milanese coprivano una superficie di oltre 20.000 ettari, mentre un secolo e mezzo dopo le sole risaie del vercellese raggiungevano i 30.000 ettari.
Lorenzo Costantini, Loredana Costantini Biasini
Museo d’Arte Orientale "Giuseppe Tucci", Roma